La differenza tra l’artigiano e la fabbrica…

C’è una cosa che proprio non mi piace del cosiddetto “firmacopie” (al di là del termine, da unghie sulla lavagna): i pochi secondi che puoi dedicare a ogni persona che viene con il tuo libro in mano.
Ciascuno di loro ha in mano un lavoro che ti ha impegnato per anni, che ha coinvolto editor, grafici e molti altri. Ciascuno di loro sta per immergersi nel mondo che tu hai costruito per lei/lui.
Vorresti sapere chi è, conoscerlo/a, entrare nella storia che sta per raccontarti, sentire come immagina che quella lettura potrà connettersi col suo Io, con la sua storia; vorresti scavare nelle parole che ti dice, nel perché della dedica a quella persona, a quella figlia/o… e invece la fila attende dietro.
Rispetto per chi è in fila, rispetto per chi è davanti a te. Un equilibrio stressante.

Scrivere un libro è un lavoro da artigiano, la lentezza a scandire il tempo. Come non disperdere quella lentezza, quello “stare”, nel momento in cui il tuo lavoro finisce finalmente tra le mani di chi ti ha scelto? Come non far svanire quel valore, proprio negli istanti in cui avviene la magia dell’incontro?

Una mia amica scriveva che a Lucca Comics, per avere una firma di Zero Calcare, occorre prenotarsi il giorno prima (fila di un’ora) e poi fare comunque la fila il giorno dopo (altra ora).
Adesso, cito Zero Calcare solo perché è l’esempio portato dalla mia amica, ma in questi casi, che resta di quell’artigianalità, di quel sapore che ti ha accompagnato nel tempo della scrittura?
Ci dovrà pur essere un modo per entrambi di riempire di Valore quell’incontro, per portarsi a casa, uno non solamente pagine e una firma, l’altro una storia.

Rino Panetti

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