“Scrivi un libro in 3 giorni con l’Intelligenza Artificiale!”
“Genera il tuo ebook con un prompt!”
Certe cose, se non le vivi, non le capisci davvero.
Come il sapore di un gelato artigianale d’estate. Quello che ti si scioglie tra le dita, che cola mentre cerchi di salvare l’ultima goccia col cucchiaino.
C’è qualcosa di più di un dolce lì dentro: c’è una storia, un mestiere, un tempo lento.
E forse è anche questo che rischiamo di dimenticare oggi, in un tempo in cui persino scrivere un libro può sembrare solo questione di clic, di prompt, di algoritmi.
Ecco, scrivere un libro — almeno per me — è sempre stato un po’ come quel gelato.
Un gesto che comincia con le mani, passa per il cuore, e richiede tempo. Tanto tempo.
La scrittura è un mestiere artigiano

Sono passati più di dieci anni da quando mi incamminai nella scrittura del primo libro.
Un atto artigianale, quasi rituale. Avevo delle idee, un’ispirazione, intuizioni che mi bruciavano dentro. E poi tanto lavoro, tante riscritture. Ogni parola posata a mano, come un intarsiatore con il suo legno.
Non era (e non è mai stato) un gesto solitario: ogni testo è un dialogo continuo, con lettori immaginati, con voci interiori, con altri pensieri letti, amati, digeriti.
Scrivere è sempre stato questo: un gesto fatto a mano, ma soprattutto “fatto a cuore”.
Il lato “industriale” — meglio, il lato “tecnologico” — emerge eventualmente in una seconda fase, ad opera compiuta: la promozione, ad esempio.
Ma oggi qualcosa è cambiato. O meglio: è arrivato. Dirompente. Intelligente, sì. Ma artificiale.
“Scrivi un libro in 3 giorni con l’Intelligenza Artificiale!”
Promesse ovunque. Tempi record. Libri a comando.
E allora mi è tornata in mente un’altra passione — il gelato — e la domanda che da anni accompagna quel mondo:
quando un gelato è davvero artigianale?
La soglia del gelato

Un mondo che conosco bene — quello del gelato artigianale — ha vissuto (e vive ancora) una sorta di eterna battaglia identitaria.
Cos’è davvero un gelato “artigianale”? Quando un gelatiere può dirsi tale, senza che questo titolo sia solo un vezzo di marketing?
Le sfumature sono sottili, i confini labili. Al punto che quasi tutti possono definirsi gelatieri artigianali.
Per molto tempo ho pensato che la scrittura fosse al riparo da questo rischio.
Scrivere un libro implicava ancora un gesto artigianale puro, con un autore, una penna (o una tastiera), un’intuizione da inseguire e tradurre in parole.
Certo, ci sono editor, ghostwriter, coautori. Ma sempre persone. Sempre mani e menti. Sempre relazioni.
Oggi, invece, quella soglia si è fatta più incerta.
Anche scrivere è diventato automatizzabile?
Siamo vicini anche qui a quella che potremmo chiamare, con un sorriso amaro, “la sindrome del gelatiere”?
Cioè, quella situazione in cui tutti possono dire di aver scritto artigianalmente, anche quando magari non hanno fatto altro che inserire un prompt in una macchina?
Dove la soglia si fa così vaga che alla fine artigiano è chiunque lo dichiari?
Non sto giudicando — non ancora, almeno — ma osservo, rifletto, e mi nasce un dubbio:
dove finisce, allora, l’artigianalità nella letteratura?
Eppure, non è solo una questione di strumenti.
Perché anche con un tornio si può essere artigiani, e anche con una IA si potrebbe (forse) cercare qualcosa di autentico.
La differenza sta nell’intenzione, nel processo, nella relazione.
Yago, l’intelligenza relazionale

Scrivere un libro, per me, continua a essere un atto relazionale.
Lo è stato quando ho scritto saggi manageriali.
Ma lo è stato ancora di più nel romanzo Yago e il Segreto di Creacon.
In quella storia, i due protagonisti — Yago e Agnese — affrontano il mistero non da soli, ma attraverso un dialogo generativo, profondo.
Non c’è un’intelligenza “artificiale”, una macchina, a indicare loro la strada. Non hanno neanche superpoteri.
C’è il pensiero che nasce dall’incontro.
C’è la creazione che avviene nel “con”, come nel nome stesso Creacon.
Un atto artigianale fatto di parole ma anche di ascolto, di silenzio, di intuizione condivisa.
E allora, forse, il vero discrimine oggi non è tanto se usiamo l’IA o no, ma come ci poniamo rispetto al processo creativo.
Vogliamo che sia veloce, replicabile, ottimizzato?
O vogliamo ancora perderci nel gesto lento, nell’errore che diventa stile, nella ricerca che è anche inciampo e scoperta?
La nuova artigianalità
Nel mondo del gelato, anche l’artigianalità si è evoluta.
Oggi un gelatiere artigianale può usare tecnologie moderne, purché non perda l’anima del processo, il controllo, la cura, la scelta delle materie prime.
Forse anche per noi autori il futuro sarà così: una nuova artigianalità, dove non sarà tanto il mezzo a fare la differenza, ma l’intenzionalità e l’etica del gesto creativo.
Finché ci sarà chi scrive così
Finché ci sarà qualcuno che scrive come Yago e Agnese agiscono — cioè insieme, con rispetto, con ascolto — finché ci sarà chi pensa che scrivere è un incontro e non una produzione, finché qualcuno saprà distinguere tra un’idea generata e un’idea coltivata, allora sì:
la letteratura avrà ancora mani, e cuore, e senso.
Rino Panetti