Qualunque sia l’attività nella quale state cercando di crescere, la fortuna di incontrare un mentore nel proprio cammino non ha prezzo.
Ma come si riconosce un buon mentore? O, parimenti, cosa dobbiamo sapere, per essere buoni mentori?
Innanzitutto fughiamo un dubbio: c’è una differenza enorme tra modello e mentore. Il modello è una persona che vi ispira, che ammirate, ma che a differenza del mentore non ha a cuore la vostra crescita. Forse neanche vi conosce.
Quando ero giovanissimo e muovevo i primi passi nel mondo dell’illusionismo, Silvan era un modello. Non certo un mentore.
Dunque, il mentore è qualcuno a cui importa della vostra crescita e vi accompagna in essa.
In Yago e il segreto di Creacon incontriamo un esempio eccelso di mentore: Rogax. È lui che guida Yago e Agnese nel loro percorso di scoperta, consapevolezza, sviluppo. Di trasformazione anche, nel loro caso.
Cosa fa di lui un grande mentore?
Le qualità che contraddistinguono un mentore sono molteplici. Tre mi sento di sottolinearle sopra le altre.
Chi è entrato nel mondo di Creacon, non avrà difficoltà nel riconoscerle in Rogax.
PRIMO: il mentore dà fiducia al suo pupillo.
Se vuoi ottenere la fiducia di qualcuno, il primo passo è darla.
Si tratta di una regola che dovreste fare vostra, anche se il vostro ruolo non è quello del mentore. Insegnanti, leader, genitori… se volete avere fiducia dagli altri, imparate a darla, innanzitutto. A Creacon sono convinto che avrete trovato decine di modi per capire come fare.

SECONDO: il mentore sa come dare feedback al suo pupillo.
Non c’è niente di più demoralizzante di un’opinione o un consiglio, dati (e ricevuti) nel modo sbagliato. Quando fate notare qualcosa a qualcuno, non contano le buone intenzioni che avevate, contano gli effetti che produrrete sull’altro.
Un buon feedback deve spingere il destinatario a migliorarsi. Ci riuscirete se stimolerete il lei/lui due effetti: presa di coscienza e presa di responsabilità.
Comprendete come anche questa seconda qualità non contraddistingua solo il mentore, ma dovrebbe appartenere a ciascuno di noi.
Anche per essa, a Creacon troverete diversi esempi e metodi sul corretto modo di porsi. Ad esempio: avete mai visto Roagx utilizzare un linguaggio “al negativo”? Come invece va costruito questo linguaggio? E quali altri insegnamenti impartisce ai due ragazzi circa il corretto modo di relazionarsi con gli altri?
In Yago e il Segreto di Creacon almeno tre “lezioni” di Rogax sono dedicate a questo. Fatene tesoro, perché sono consigli preziosi da mettere in pratica in qualunque ambiente vi troviate: famiglia, lavoro, amicizie, …

TERZO: il mentore sa quando abbandonare il suo pupillo.
Per qualche istante vi porto in un’epoca remota e forse leggendaria. Il tempo in cui Mosè accompagnò il suo popolo verso la Terra Promessa. Ciò che ci interessa qui è un fatto, forse poco considerato, di quella vicenda. Egli – Mosè – portò la sua gente in una nuova terra, ma né lui, né gli altri della sua generazione, vi arrivarono, vi misero piede. Mosè riuscì a vederla da lontano, ma lì si fermò. Il futuro, in quella nuova terra, apparteneva alla nuova generazione.
Ecco, un mentore possiede questa terza preziosa qualità: egli non trattiene il suo pupillo per un tempo indefinito; arriva il momento in cui la cosa migliore che può fare è lasciarlo volare, perché c’è una parte della crescita che può maturare solo guidando la propria barca da solo.
Sappiamo tutti quanto sia difficile il distacco. Lo sappiamo ad esempio come genitori. Eppure, va fatto, se teniamo al nostro pupillo e alla sua maturazione.
Io lo noto ad esempio con mio figlio: le nuove tecnologie crescono in modi e ritmi vertiginosi. Noi della nostra generazione le apprendiamo, le facciamo nostre per quello che ci sono utili… ma le terre nuove che queste tecnologie innovative apriranno, in prospettiva, a noi è dato soltanto intravederle, scrutarle. Chi le vivrà in pieno saranno loro.

Nella mia vita lavorativa ho avuto tre persone con queste qualità. Per tre anni mi hanno dato tutto quello che avevano, lo hanno fatto con il sorriso, entusiasti del mio cammino.
Mi hanno riempito di feedback, senza mai dirmi “Devi fare così”.
Dopo tre anni mi hanno lasciato volare. Ho vissuto i primi sei mesi di quel distacco con un senso di paura: il mare aperto, il timore di non essere in grado di nuotarci.
Da allora sono passati tanti anni. Due di loro non ci sono più. Ho sempre continuato a chiamarli, almeno a Pasqua e Natale. A raccontargli di me. Anche con la voce sempre più fioca, li ho sentiti accendersi di gioia. Ed io, di gratitudine.
Rino Panetti